In psicologia, l’evitamento viene definito come una strategia che implica il mettere in atto dei comportamenti finalizzati al “sottrarsi” da eventi, persone e/o situazioni temuti.
Si tratta di un comportamento assai diffuso, spesso attuato proprio perché risulta essere funzionale, ossia efficace, in determinate situazioni. Ma è sempre così?
L’atto di “evitare” può essere rivolto verso situazioni esterne, ma anche verso stati interni, come pensieri, emozioni e sensazioni. Tutti gli stimoli in questione, siano essi eventi esterni oppure stati interni, vengono solitamente “evitati” a causa delle emozioni negative che suscitano nella persona.
Evitare qualcosa può essere un “comportamento funzionale” in certe situazioni.
Pensate ad esempio alla scelta di evitare una situazione pericolosa; evitare di camminare da soli nel cuore della notte in una strada poco illuminata è indubbiamente un comportamento adeguato e protettivo. In questo caso l’evitamento può essere considerato un comportamento funzionale rispetto allo scopo di preservarsi.
Stessa logica di efficacia può essere applicata ai casi in cui evitiamo di incontrare persone verso le quali nutriamo antipatia e con cui il rischio di finire a fare discussione è molto alto, oppure quando evitiamo di recarci in un luogo che ci evoca ricordi dolorosi.
In tutti questi esempi l’evitamento effettivamente può essere considerato un comportamento funzionale rispetto allo scopo ad esempio di preservarsi, di evitare un conflitto o di non evocare ricordi dolorosi.
Tuttavia occorre valutare bene l’opportunità di evitare o meno qualcosa.
L’evitamento infatti può essere anche un “comportamento disfunzionale”, che provoca ansia e sofferenza nelle persone che lo mettono in atto come una radicata abitudine.
Quando viene attuato in maniera rigida, sistematica e generalizzata a diversi contesti di vita l’evitamento ostacola la persona nel fare le sue esperienze e nell’imparare a fronteggiare diverse situazioni. In questi casi s’innesca un circolo vizioso tale per cui più si teme una situazione, più la si evita, più viene rinforzata l’idea di non essere in grado di affrontare quella situazione.
Ricordiamo anche che l’evitamento è alla base della procrastinazione, che come abbiamo visto in precedenza, nel lungo periodo può portare problemi concreti e malessere psicologico.
Inoltre l’evitamento rappresenta un meccanismo di mantenimento importante di svariati quadri clinici come il disturbo di panico, la depressione maggiore, il disturbo ossessivo compulsivo, le disfunzioni sessuali e il disturbo evitante di personalità.
In conclusione è importante domandarci quali e quanti evitamenti mettiamo in atto e se sono più o meno funzionali, ossia efficaci, rispetto ai nostri scopi in una data situazione.